12 ottobre 2017

STABILIZZAZIONE PRECARI. IN TEMA DI PUBBLICO IMPIEGO LE NORME ITALIANE NON SONO IN LINEA CON L'EUROPA. A GIORNI UN GIUSTO RESPONSO DA PARTE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA



Stabilizzazione precari: il comunicato stampa della Corte Europea

Precari e giustizia europea: le conclusioni dell’Avvocato Generale sono previste per il 26 ottobre

L’AUTORE: Annamaria Zarrelli

In tema di pubblico impiego le norme italiane non sono in linea con quelle di matrice europea. Il risultato è che l’Italia è il Paese dell’eterno precariato. Molte volte, la Corte Europea ha “bacchettato” il legislatore italiano affinché predisponesse una tutela «più energica» [1] nei confronti dei lavoratori precari. Ad oggi, però, ancora non si è arrivati ad una soluzione che risolva definitivamente il problema. Le tanto attese risposte sono, però, in arrivo e  a rispondere sarà direttamente la Corte Europea, il cui pronunciamento avverrà a giorni. Le conclusioni dell’Avvocato Generale sono previste per il 26 ottobre 2017. In fondo all’articolo si riporta il testo il comunicato stampa [2].


Precariato: la giurisprudenza in Italia

La Corte di Cassazione [3] ha stabilito che il dipendente pubblico, vittima di un’abusiva reiterazione di contratti a termine per oltre 36 mesi, ha diritto ad un risarcimento del danno da quantificarsi tra le 2,5 e le 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto [4]. Questo rimedio forfettario, tuttavia potrebbe rivelarsi del tutto insufficiente, in quanto sproporzionato a fronte dei danni effettivamente subiti dal personale precario. Secondo l’orientamento attualmente maggioritario non spetterebbe, inoltre, al precario statale la cosiddetta stabilizzazione, il diritto – cioè – ad ottenere la conversione del proprio contratto di lavoro da contratto a termine a contratto a tempo indeterminato. Secondo questa tesi, infatti, la legge italiana [5] vieterebbe ai giudici di operare la conversione. Se non ci fosse detto divieto – sostengono i fautori di questo orientamento – sarebbe minato un importante principio costituzionale, che impone alle pubbliche amministrazioni di assumere personale solo a seguito di procedure concorsuali [6]. In altri termini, chi sostiene questa tesi ritiene che se fosse possibile trasformare il contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, sarebbe facile per la Pubblica Amministrazione eludere l’obbligo di predisporre un bando di concorso per l’accesso al pubblico impiego.


Il principio del concorso per l’accesso al pubblico impiego

Ai fautori dell’orientamento riportato sopra sfugge un dato importante. Il principio dell’accesso al pubblico impiego tramite concorso è sancito nel nostro ordinamento dalla Carta Costituzionale e precisamente dall’art. 97 della Costituzione.  Orbene, l’art. 97 Cost. dispone testualmente che: «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge» La regola del concorso, quindi, può essere derogata in base alla legge e ove la legge preveda forme diverse di accesso al pubblico impiego, dovrà farsi riferimento a queste forme e non alla regola del concorso pubblico, che rappresenta sicuramente un principio fondamentale nel nostro ordinamento, ma non è l’unica forma di accesso al mondo del lavoro statale. Si pensi al reclutamento del personale che avviene (soprattutto tra gli amministrativi della scuola) mediante avvio dalle liste di collocamento.

Vi è inoltre un ulteriore dettaglio che sfugge. Anche per il lavoro privato vige un importante principio costituzionale, con la differenza che – in tal caso – non ci si è posti alcun problema a superalo, in nome di un più rilevante diritto (quale – appunto – la stabilizzazione) spettante al lavoratore del settore privato. I costituzionalisti, infatti, sanno bene che la Costituzione [7] stabilisce che «l’iniziativa economica privata è libera».  Ma se è vero che l’iniziativa economica privata è libera, allora perché si “costringe” il datore di lavoro privato ad assumere il proprio dipendente, una volta che questi abbia superato il trentaseiesimo mese di precariato? E soprattutto, perché si può “sacrificare” un principio costituzionale a favore di un lavoratore privato, mentre di rinunciare al dettato della Costituzione a favore del precario statale non se ne parla proprio? Si tratta di interrogativi che fanno riflettere e che riceveranno – a giorni – un giusto responso da parte della Corte di Giustizia Europea.


Precariato: la questione al vaglio della Corte Europea

In data 13 luglio 2017, a Lussemburgo si è tenuta un’udienza di discussione concernente la tematica del precariato dei dipendenti pubblici italiani. La questione affrontata dai giudici europei concerne la vicenda di una donna che per anni ha prestato la propria attività lavorativa nel settore pubblico, alle dipendenze di un’amministrazione Comunale  (il Comune di Valderice). Più precisamente, la donna era stata assunta sin dal 1996 come Lavoratrice socialmente utile (Lsu), dal 2005 con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (Co.co.co.) ed, infine, con plurimi e successivi contratti a tempo determinato. Evidente quindi che la donna abbia subito per anni un’illegittima precarizzazione del proprio rapporto di lavoro. Detta situazione di illegittimità non è sfuggita al Tribunale di Trapani al quale la donna si era rivolta per far valere i propri diritti. In sostanza, secondo il Tribunale di Trapani, posto che la donna ha subito per oltre venti anni un’abusiva situazione di precariato, del tutto insufficiente si rivelerebbe l’indennità quantificata tra le 2,5 e 12 mensilità. Alla donna, di contro, dovrebbe essere riconosciuto il diritto alla stabilizzazione e/o comunque un risarcimento molto superiore il cui valore dovrebbe per lo meno eguagliare il valore economico del posto di lavoro per troppo tempo negatole. Ciò posto, detto Tribunale, schieratosi dalla parte della lavoratrice ha rimesso – con apposita ordinanza [8] – la questione ai giudici europei. Le conclusioni dell’Avvocato generale sono previste, salvo rinvii o impedimenti, al 26 ottobre prossimo. Di seguito si riporta il relativo comunicato stampa.



Corte di giustizia
dell’Unione europea
 
Stampa e Informazione 

Sezione italiana
Udienza nella causa C-419/16, Giuseppa Santoro / Comune di Valderice e Presidenza del Consiglio dei Ministri 
(Contratti successivi a tempo determinato nel settore pubblico – Abuso – Conseguenze)

La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Santoro e il suo datore di lavoro, cioè l’amministrazione pubblica del Comune di Valderice, con riferimento al suo rapporto di lavoro svoltosi con più contratti a tempo determinato successivi. Con tale tipo di contratti, la signora Santoro è alle dipendenze del Comune di Valderice dal 4 ottobre 2010 e il suo ultimo contratto prevede come scadenza il 31 dicembre 2016. Poiché la signora Santoro ritiene illecita tale concatenazione di contratti a termine, essa si è rivolta al Tribunale di Trapani chiedendo la trasformazione del suo rapporto contrattuale in contratto a tempo indeterminato, oltre al risarcimento del danno. 
 Il Tribunale di Trapani osserva che, ferma l’illegittimità di una prassi abusiva di successione di contratti di lavoro a tempo determinato oltre trentasei mesi nel settore pubblico (si veda, ad esempio, la sentenza Mascolo – C-22/13 sui precari della scuola), si tratta qui di stabilire quale debba essere il modo di reagire a tale tipo di abuso nel settore pubblico, posto che nel settore privato è prevista l’automatica trasformazione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato. Nel settore pubblico, invece, viene solo riconosciuto un risarcimento in termini monetari. Tale diverso trattamento tra settore pubblico e privato è spiegato dal principio costituzionale in base al quale agli impieghi negli organismi pubblici si accede solo mediante concorso. Tuttavia, la legittimità di un diverso trattamento delle due categorie di lavoratori non significa che si possano discriminare, in senso sfavorevole, i lavoratori pubblici rispetto ai lavoratori privati: e, infatti, una recente pronuncia resa dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 5072/2016), onde rendere equo il trattamento del lavoratore pubblico rispetto a quello del lavoratore privato in una situazione analoga (cioè, come detto, abuso della contrattazione a tempo determinato per un periodo di oltre tre anni), ha stabilito che il risarcimento al lavoratore del settore pubblico è composto da due parti:


  1. un’indennità forfetaria attribuita senza che il lavoratore sia chiamato a fornire alcuna prova, da quantificare fra un minimo di 2,5 mensilità e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione (identico trattamento per le due categorie di lavoratori);
  2. un risarcimento per la perdita di chances favorevoli, previo assolvimento di un pesante onere probatorio a carico del lavoratore: costui deve dimostrare che, se l’Amministrazione avesse regolarmente indetto un concorso, egli sarebbe risultato vincitore o, comunque, che talune possibilità di impiego alternative sono sfumate a causa del rapporto a termine instaurato con l’Amministrazione. Questa voce risarcitoria serve a “compensare” l’impossibilità di stabilizzare un contratto di lavoro a termine nel settore pubblico. 

Ebbene, in relazione a quest’ultima voce, il Tribunale di Trapani osserva che al lavoratore si impone l’onere di fornire una prova “diabolica”, perché è addirittura giuridicamente impossibile che si riesca a provare (sia pure con l’ausilio di presunzioni) l’ipotetica vittoria di un eventuale concorso pubblico … mai bandito! Il risarcimento della perdita di chances, ossia uno dei due pilastri sui quali poggia la tutela approntata dalla Corte di cassazione, è quindi solo apparente e l’unica forma di tutela effettiva è rappresentata dall’indennità di cui al punto a), che da sola non elimina l’esistenza di una vera e propria discriminazione tra lavoratori pubblici e lavoratori privati. 


Così impostato il problema, il Tribunale di Trapani chiede alla Corte di giustizia, in via pregiudiziale: 
I) se sia una misura equivalente ed effettiva l’attribuzione di una indennità compresa fra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione al dipendente pubblico, vittima di un’abusiva reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato, con la possibilità per costui di conseguire l’integrale ristoro del danno solo provando la perdita di altre opportunità lavorative oppure provando che, se fosse stato bandito un regolare concorso, questo sarebbe stato vinto; 
II)  se il principio di equivalenza vada inteso nel senso che, laddove lo Stato membro decida di non applicare al settore pubblico la conversione del rapporto di lavoro (riconosciuta nel settore privato), questi sia tenuto comunque a garantire al lavoratore la medesima utilità, eventualmente mediante un risarcimento del danno che abbia necessariamente ad oggetto il valore del posto di lavoro a tempo indeterminato.


La data prevista per le conclusioni dell’Avvocato generale Szpunar è il 26 ottobre 2017


note
[1] Al riguardo si sottolinea che il termine «energico» è stato usato dalla Corte di Giustizia Europea per la prima volta nella sentenza Fiamingo (del 03.07.2014, procedimento C-362-13) che riguarda l’Italia e, per la seconda volta, nella nota sentenza Mascolo (punto 77), il che dimostra come la Corte di Giustizia richiede alle autorità italiane,  di ricercare senza incertezze una soluzione alla questione del precariato che sia compatibile con il diritto comunitario. Solo per l’Italia, ad oggi, la Corte Europea ha ritenuto di dover specificare che la misura ostativa alle abusive prassi di precarizzazione debba essere energica. Ciò in quanto il meccanismo risarcitorio più spesso adoperato dai giudici nazionali (ovverosia il meccanismo meramente indennitario) è il più basso di quelli adoperabili e non rispondente, dunque, ai parametri comunitari.
[2] Si precisa che il comunicato stampa non è un documento ufficiale, ma una nota per la Stampa.
[3] Cass. SS. UU., sent. n. 5072 del 15.03.2016 (Conforme, ex multibus, Cass., sent. n. 14633 del 18.07.2016).
[4] Si tratta dell’indennità  di cui all’art. 32 comma 5 della l. n. 183/2010. (Collegato Lavoro), così come sostituito dall’art. 28, comma 2, Dlgs. n. 81/2015.
[5] Art. 36 comma 5 d.lgs. n. 165/2001.
[6] Art. 97, 4 comma, Cost.: «Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».
[7] Art. 97, 4 comma, Cost.
[8] Trib. Trapani, ordinanza del 05.09.2016.

Fonte: business.laleggepertutti.it


Leggi anche:

Il fenomeno del precariato pubblico siciliano che dura da quasi trent’anni è stato finalmente discusso in corte di giustizia dell'Unione Europea



Nessun commento:

Posta un commento

Ogni commento anonimo sarà cestinato, verranno pubblicati tutti tranne quelli offensivi e/o volgari, si ricorda che commentare significa anche assumersi la responsabilità di ciò che si dice. Qualora la loro pubblicazione violasse eventuali diritti d’autore, vogliate comunicarlo via email. Saranno immediatamente rimossi. Quelli con profilo Anonimo DEVONO essere firmati alla fine del commento altrimenti saranno cancellati. Il titolare del blog declina ogni responsabilità per i commenti rilasciati da terzi. Le immagini pubblicate sono quasi tutte tratte da internet e quindi valutate di pubblico dominio. Qualora il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del blog che provvederà alla loro rimozione.