11 agosto 2017

CALABRIA. LA SILA BRUCIA, IPOTESI ROGHI DOLOSI: SOSPETTI SU AZIENDE FORESTALI


I volontari hanno trovato tracce di accensione, si teme una strategia precisa di imprese che riforniscono le centrali elettriche a biomasse. Indagini in corso

Antonio Maria Mira 09 Agosto 2017
Dietro gli incendi che stanno devastando la Calabria e in particolare il Parco nazionale della Sila, ci potrebbero essere gli affari di alcune aziende forestali, in particolare quelle che riforniscono di legname le centrali elettriche a biomasse. È l’ipotesi emersa dal vertice convocato lunedì scorso in Prefettura a Cosenza. Ne hanno parlato sia il procuratore Mario Spagnuolo che il capo della Protezione civile regionale Carlo Tansi. «Stiamo indagando, ma allo stato non le posso dire niente. Ho comunque alcune idee, ma avrei bisogno che la gente parlasse un po’ di meno e desse elementi concreti a chi lavora. Abbiamo bisogno di collaborazione», ci dice il capo della procura di Cosenza, magistrato molto esperto sui reati ambientali. Poi ci conferma l’ipotesi.

«Quando un bosco viene toccato dalle fiamme poi va ripulito. Ma quando si ripulisce si taglia anche la parte buona. Il fuoco aiuta... Queste cose le sappiamo bene. Se qualcuno ci dà una mano forse riusciamo a risolvere qualche problema». Il suo è un appello a chi sa, ha visto, ma anche a chi dovrebbe controllare. Più elementi ce li fornisce il capo della Protezione civile regionale. «In Calabria c’è una situazione drammatica, con un’impennata esponenziale degli incendi. Ma la cosa assurda è che non era mai accaduto che ad essere attaccata dalle fiamme fosse la Sila. Ci sono stati vari punti di accensione a cingere tutto l’altopiano, dalla presila cosentina alla presila catanzarese e al lato jonico. Ci sono incendi che vanno avanti da 20 giorni. C’è una strategia – accusa Tansi –. Lungo le principali strade ci sono i punti di appicco che hanno una logica e sono posizionati in corrispondenza dell’inizio delle pinete». E qui anche lui ci spiega quali interessi siano in ballo.

«Non si tratta di contadini che bruciano per avere il pascolo. Il motivo vero per me è uno solo, e spero che la magistratura approfondisca. Quando si bruciano degli alberi, questi per legge devono essere tagliati entro un anno, l’area deve essere bonificata. Ma quando si va a tagliare quelle aree si tagliano non solo gli alberi bruciati ma tutto, anche quelli in buono stato. In condizioni normali in queste aree non potresti tagliare neanche un ramo, però nel caso di incendio sei obbligato a tagliare per bonificare e quindi tagli di tutto, anche gli alberi solo anneriti. Anzi spesso, purtroppo, e so che su questo le indagini stanno andando avanti, c’è una vera e propria speculazione, cioè si taglia più del dovuto, anche perché i controlli sono scarsi, in una situazione di affarismo. Così si taglia tutto e viene portato agli impianti di biomasse. Guarda caso gli incendi grossi sono avvenuti in prossimità delle centrali a biomasse. Anzi stanno per realizzare una nuova centrale, proprio nel cuore della Sila, a Parenti. E servirà altro legno. Sono tanti soldi in ballo, da chi taglia a chi trasporta e a chi brucia per produrre energia».

Questo, aggiunge, «l’ho detto pubblicamente nella riunione di lunedì e ho visto che alcuni dei presenti dimostravano di sapere di cosa stavo parlando». Come confermano le parole del procuratore Spagnuolo. Ma Tansi pensa già anche alle conseguenze idrogeologiche. «Il 15 luglio a Scilla la colata di detrito è partita proprio dalle aree percorse dagli incendi. Nelle aree bruciate si depositano le ceneri, uno strato molto sottile che impermeabilizza il terreno. Quindi l’acqua invece di infiltrarsi nei terreni, che sono molto drenanti in condizioni normali, ruscella in superficie, si canalizza a grande velocità inglobando tutto il materiale perché erode molto di più. Le aree percorse da incendi non hanno più apparti radicali e quindi porta tutto con sé, con flussi violentissimi».

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