21 ottobre 2014

LA SECONDA, LA COMMISSIONE BILANCIO, È ALLE PRESE CON LA SPINOSA PRATICA DEGLI STIPENDI DEI FORESTALI E DEL CIAPI. I SOLDI NON CI SAREBBERO. MA SI TROVANO


Il commento


La Sicilia che muore di Regione

di Salvo Toscano

Il museo del Satiro che non apre nei festivi malgrado i 25 addetti. I soldi per le imprese artigiane dirottati per salvare gli stipendi dei forestali. Due istantanee di una Sicilia soffocata dal leviatano Regione




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PALERMO – Notizia numero uno. Mazara del Vallo, martedì 21 ottobre. Il sindaco Nicola Cristaldi chiede alla Regione siciliana il trasferimento della gestione del Museo del Satiro al Comune. Il motivo? Lo spiega lo stesso primo cittadino: "Venticinque addetti della Regione per la gestione di uno spazio di poco più di duecento metri quadri non riescono ad assicurare l'apertura del Museo del Satiro di Mazara nei giorni festivi o lo fanno solo in alcune ore”. Si parla di uno dei più preziosi gioielli del patrimonio artistico e culturale della Sicilia. Quando lo abbiamo spedito in Giappone è stato accolto da superstar e ha totalizzato in qualche mese di esposizione un milione e 300 mila visitatori. In Sicilia, nel museo che lo ospita, nel 2011 lo hanno visto in 15 mila.


PALERMO – Notizia numero uno. Mazara del Vallo, martedì 21 ottobre. Il sindaco Nicola Cristaldi chiede alla Regione siciliana il trasferimento della gestione del Museo del Satiro al Comune. Il motivo? Lo spiega lo stesso primo cittadino: "Venticinque addetti della Regione per la gestione di uno spazio di poco più di duecento metri quadri non riescono ad assicurare l'apertura del Museo del Satiro di Mazara nei giorni festivi o lo fanno solo in alcune ore”. Si parla di uno dei più preziosi gioielli del patrimonio artistico e culturale della Sicilia. Quando lo abbiamo spedito in Giappone è stato accolto da superstar e ha totalizzato in qualche mese di esposizione un milione e 300 mila visitatori. In Sicilia, nel museo che lo ospita, nel 2011 lo hanno visto in 15 mila.
Notizia numero due. Palermo, martedì 21 ottobre. All'Assemblea regionale siciliana, mentre l'Aula è paralizzata da tempo, le commissioni si riuniscono. La seconda, la commissione Bilancio, è alle prese con la spinosa pratica degli stipendi dei forestali e del Ciapi. I soldi non ci sarebbero. Ma si trovano. Come? Il salvadanaio si chiama Crias. La soluzione è quella di prosciugare il fondo unico per le imprese artigiane. Soldi, tra i pochissimi ancora superstiti, destinati a investimenti. Che se ne andranno via in stipendi. Per garantire quel gigantesco ammortizzatore sociale che è l'esercito dei forestali. I soldi per rimpinguare le casse della Crias si troveranno, si dice. Col tempo. Quello che le imprese non hanno. Solo a Palermo nei primi sei mesi di quest'anno si sono registrate 830 cancellazioni dall'albo degli artigiani, rispetto a 530 nuove iscrizioni. E altrove in Sicilia la musica non cambia.
Due notizie, due istantanee che si perdono fra le tante altre di giornata. E che sono solo piccoli tasselli di un enorme, deprimente mosaico a tinte fosche. Quello di una Sicilia che lentamente muore. E muore di Regione. Non solo, certo. Ma anche. E per negarlo ci vorrebbe davvero coraggio.
È questa la fotografia della Sicilia che si dimena come un animale morente. Soffocata dal peso di un leviatano mostruoso, di questa mastodontica e vorace Regione figlia di decenni di scellerate follie. È questo il frutto di anni in cui ci si è illusi, e non sempre in buona fede, che per fronteggiare sottosviluppo e disoccupazione la ricetta fosse quella di trasformare le istituzioni regionali e locali in giganteschi stipendifici, piuttosto che investire risorse per creare sviluppo, sostenere il tessuto imprenditoriale, rimuovere le cause che ne soffocavano la crescita. L'eredità che c'è stata lasciata è quella di uno spaccato da socialismo reale, in cui le energie, la voglia di intraprendere, persino i gioielli di un passato glorioso come il Satiro danzante, rimangono soffocati da una cappa asfissiante.
Un mastodontico baraccone, imponente monumento all'inefficienza, in cui si consumano tragiche guerre tra poveri. E per garantire a oltranza assegni e sussidi in nome del no alla macelleria sociale, si consuma la medesima macelleria sociale ai danni di imprese e lavoro, che nel privato vengono spazzati via in un inarrestabile processo di desertificazione. Che lascia per terra vittime colpevoli solo di non rappresentare pacchetti di voti facilmente controllabili.
È questo l'unico azzeramento di cui ci piacerebbe sentire parlare. Anzi, che ci piacerebbe vedere messo in pratica, ché di parole, diciamo la verità, siamo tutti fin troppo stanchi. L'azzeramento di un sistema di morte. Prima che non resti più niente di vivo da distruggere.

21 Ottobre 2014









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