28 dicembre 2013

IVAN LO BELLO: NESSUNO DI NOI PENSA CHE I PRECARI E I FORESTALI DEBBANO ANDARE A CASA, SONO IL FRUTTO E LE VITTIME DI ERRORI DEL PASSATO


Lo Bello: più forza al governatore "liberato" dall'Ars

Ivan Lo Bello, imprenditore, attuale
Vicepresidente Nazionale di Confindustria con delega
sull’Educational, dopo una lunga esperienza alla guida 
di Confidustria Sicilia nel segno della lotta alla mafia
Foto lasicilia.it


«La classe dirigente regionale fa schifo, per la Sicilia serve una "devolution all'incontrario": affidatevi di più a Roma. Lo Statuto speciale andrebbe rivisto. I siciliani devono sottrarsi al ricatto dell'autonomia, che è stata la parola d'ordine dei politici per rubare alle loro spalle. Il governo Crocetta? Né scelte significative, né rotture: irrilevante e immobilista»



Foto lasicilia.it

Mario Barresi
Ivan Lo Bello, vicepresidente nazionale di Confindustria, in un'intervista al nostro giornale lo storico ed editorialista del "Corriere della Sera, Ernesto Galli Della Loggia, ha espresso un giudizio impietoso sulla classe politica regionale: «Fa schifo», ha detto senza mezzi termini...
«Sotto molti aspetti il giudizio è condivisibile. Se guardiamo agli ultimi anni e alle vicende che hanno riguardato le regioni, dalle inchieste sui rimborsi ai tanti scandali, non c'è dubbio che emerga un problema serio di classe dirigente locale, anche se non bisogna generalizzare. Guardando alla storia del nostro Paese, le Regioni ordinarie sono sono state istituite negli Anni 70, senza una vera tradizione politica e amministrativa come quella dello Stato centrale e tanti Comuni, istituzioni con maggiore presenza e radicamento sul territorio. Altra cosa sono le Regioni a statuto speciale».
E qui veniamo alla Sicilia, per la quale Galli Della Loggia propone in pratica una "rottamazione" dell'Autonomia, con una netta revisione dello Statuto speciale. Che ne pensa?
«Io da sempre sono uno dei critici dell'Autonomia regionale. Ho sempre sostenuto che questa "specialità" è stata sempre vissuta non come un'opportunità di sviluppo, ma come un elemento di redistribuzione di risorse, ma soprattutto di assistenzialismo e clientelismo. E questo è un tema siciliano, perché altre Regioni - penso al Trentino Alto Adige, ad esempio - hanno avuto le stesse prerogative e risorse parametrate alla loro situazione e hanno saputo utilizzare l'autonomia speciale in maniera estremamente positiva. Da noi, invece, dietro alla retorica sull'autonomia si sono nascoste le peggiori nefandezze. Quello fra noi e il Trentino è un paragone non di modelli istituzionali, ma di qualità della classe dirigente. Uno dei temi su cui bisognerebbe confrontarsi in Sicilia, anche in un dibattito storico è questo: perché l'Autonomia speciale dal dopoguerra a oggi ha determinato una classe dirigente, politica, sociale ed economica non all'altezza di sfide, opportunità e prerogative in questi decenni? Complessivamente l'autonomia speciale è stato un grande fallimento per la Sicilia».
Quale può essere allora la strategia d'uscita? La «devolution all'incontrario» proposta da Galli Della Loggia che ci invita ad «affidarsi di più a Roma»? Oppure è possibile un'ultima chance alla nostra classe dirigente, magari aspettando pure da noi che si materializzi «l'uomo forte» che l'editorialista auspica a livello nazionale?
«Quando Galli Della Loggia parla dell'uomo forte al governo, il discorso non si può applicare tout court alla nostra regione. In Sicilia c'è da un lato un presidente eletto direttamente dai cittadini, ma dall'altro una fortissima assemblea parlamentare. E il presidente eletto non porta con sé un premio di maggioranza, al di là di quello minimo del "listino": il nostro è un sistema presidenziale con un fortissimo contrappeso del potere dell'Ars, che in una certa fase storica poteva essere arginato dalla forza dei grandi partiti della Prima Repubblica, ma oggi i partiti sono strumenti deboli e fortemente frammentati. In questi ultimi anni all'Ars ci sono stati e ci sono partiti personali, portatori di singoli interessi. Dobbiamo smitizzare il tema che in Sicilia ci sia un uomo solo al comando, perché il governatore deve convivere con 90 deputati regionali altrettanto forti».
Eppure, numericamente, anche Crocetta dispone di una maggioranza chiara per governare. Cosa c'è che non funziona, allora?
«Parliamo di maggioranze passeggere che si formano all'Ars. Gli ultimi anni ci raccontano di continui cambi di maggioranza, divenuti quasi strutturali nella storia dell'Assemblea regionale siciliana. C'è il caso di Lombardo, esemplare nell'ultimo quinquennio, ma non soltanto quello. Le vicende a cui mi riferisco sono il frutto di un quadro ormai spappolato dei partiti. Il nostro è diventato un sistema apparentemente presidenziale, ma sempre più condizionato dalla possibilità di maggioranze variabili con il rischio di trasformismi e di domande politiche per supportare interessi limitati e non generali. Il nostro problema è proprio quello di avere un presidente della Regione forte: per questo dovremmo mettere mano a una rivisitazione forte dello Statuto».
Anche a costo di perdere pezzi, quantitativi e qualitativi, di Autonomia?
«La Regione Siciliana ha, su un piano formale delle enormi prerogative e tante competenze. Ma su quello sostanziale, ripeto, prevale una governabilità debole, influenzata da lobby e da singoli esponenti politici. Ma questo avviene anche in tante altre Regioni. Basta guardare, dopo la revisione del Titolo V della Costituzione nel 2001, il pessimo uso che anche le Regioni ordinarie hanno fatto delle nuove competenze. La soluzione per la Sicilia potrebbe essere una governance forte a livello centrale. E siccome noi non siamo stati in grado, e non è un fatto soltanto recente, di usare al meglio le nostre prerogative autonomistiche, è evidente che un dibattito vada aperto».
E qual è il suo contributo iniziale a questo dibattito?
«La proposta: consentire a un presidente e a una maggioranza di governare per cinque anni senza vincoli, condizionamenti o trabocchetti. Non guarderei alla sostanza delle competenze, ma al meccanismo di governance: il bilanciamento totalmente paritario fra presidente e Ars è il vero problema della Sicilia, ancor più dell'Autonomia speciale».
Galli della Loggia esprime anche un giudizio sul governo Crocetta, definendolo «irrilevante e immobilista».
«Mi sembra un giudizio duro. Un giudizio espresso da chi ci guarda da lontano, con tutto il rispetto per Galli Della Loggia, che leggo sempre con enorme piacere. Sia chiaro: io non sto qui a difendere nessuno, faccio un altro mestiere. Ma quello di Galli Della Loggia prescinde dalla situazione che Crocetta ha trovato in Sicilia, che poco prima delle dimissioni di Lombardo, nel luglio del 2012, era sull'orlo del default, come io stesso denunciai in un'intervista al "Corriere della Sera", e come poi è emerso anche dall'intervento del governo Monti».
È possibile attendersi un salto di qualità nel 2014 da questo governo regionale?
«Il Paese l'anno prossimo uscirà dalla recessione che ci portiamo dietro dal 2008, mentre in Sicilia il 2014 sarà l'ennesimo anno di Pil negativo. E quindi continuo a ritenere che il tema centrale sia far ripartire l'economia, mettendo in moto il mondo produttivo, creando occupazione e rafforzando le risorse fiscali per la Regione, che è un altro fortissimo incentivo all'investimento sulla crescita. Crocetta ha fatto emergere le tante patologie della nostra regione, oggi bisogna mettere in campo tutti gli strumenti per una crescita economica, attrarre nuovi investimenti, intervenire ulteriormente sulla burocrazia che è ancora un freno notevole alla crescita. Ma tutto questo non dipende solo da Crocetta, ma anche dall'Ars che deve condividere col presidente un progetto strategico di crescita. Il cuore della vicenda è sempre lo stesso: la governance complessiva. È troppo facile dire: "Crocetta cambi la Sicilia". Il problema è che sono Crocetta e l'Ars a dover cambiare la Sicilia».
Ma è lecito aspettarsi un nuovo "balance" sull'obiettivo di «non fare macelleria sociale», come dice Crocetta riferendosi a precari e forestali, per spostare attenzione e risorse sullo sviluppo puro?
«Nessuno di noi pensa che i precari debbano andare a casa, molto spesso si tratta di persone che sono lì da anni in una situazione di precarietà esistenziale prima ancora che economico-occupazionale. Sono allo stesso tempo il frutto e le vittime di errori del passato. Ma dobbiamo mettere un punto fermo. E poi ripartire con la forza di un progetto strategico e con la chiarezza degli obiettivi».
twitter: @MarioBarresi


27 Dicembre 2013



Nell'ultimo passaggio il Vicepresidente Nazionale di Confindustria ci tranquillizza un pò.
Ma si riesce veramente a correggere gli errori fatti in passato tutelando i precari e forestali?









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