19 ottobre 2012

SICILIA IN DEFAULT, TAGLI ANCHE PER I FORESTALI. ASSESSORE ARMAO: COSI' COM'E' NON PUO' CONTINUARE






ARMAO

"Sicilia in default tra due anni
con il patto di stabilità"

 

Intervista a Gaetano Armao: "Se non si rinegozia il patto di stabilità e non si continua a tagliare la spesa, la Regione collasserà tra due anni. Ma in campagna elettorale non se ne parla"

 

"Sicilia in default tra due anni con il patto di stabilità"



 PALERMO - Gaetano Armao non ci gira attorno. E fissa una scadenza ultimativa, non troppo lontana nel tempo: il 2014, l'anno in cui la Sicilia arriverà al default. Un epilogo sicuro, secondo l'assessore, a meno che non si vada avanti con misure drastiche di taglio della spesa pubblica e contestualmente non si negozi una revisione del patto di stabilità, che ridia fiato alla Regione.

Assessore, ormai manca poco alla fine del suo mandato. Come valuta questa campagna elettorale? Ritiene che si stia parlando abbastanza della situazione finanziaria ed economica della Regione?
“Noto con una certa preoccupazione che le questioni inerenti la situazione finanziaria ed economica, attuale e potenziale, della Sicilia, non sia al numero uno dell'attenzione delle forze politiche”.

Cosa dovrebbe preoccupare di più, la situazione finanziaria, per capirci i conti della Regione, o l'economia reale?
“Sono due piani che si intersecano: quando non puoi fare più investimenti perché i conti sono bloccati, come puoi fare una politica economica per lo sviluppo?”.

Ma se potesse parlare ai candidati presidenti, come la spiegherebbe questa emergenza in poche righe?
“La spiegherei con la 'fracasomania'. Ne scrisse il grande economista Hirschman. Fu mandato dal Fondo monetario internazionale in Sud America negli anni '70. Di fronte a quelle economie sottosviluppate lui osservò il fenomeno che battezzò 'fracasomania': cioè la mania del fallimento, “fracaso” in spagnolo. È una tendenza diffusa nelle economie a sviluppo ritardato, o decadenti, cioè l'incapacità delle classi dirigenti di trovare soluzioni nella continuità. Insomma, l'idea che tutto ciò che è stato fatto è da buttare”.

Le pare che sia questo lo scenario?
“Sì, sta succedendo adesso. E porta come conseguenza la parcellizzazione. In un momento tremendo in cui dovrebbero prevalere la spinte di convergenza, in Sicilia prevale la frammentazione. La soluzione è invece fare massa critica e convergere per affrontare l'emergenza”.

Lei torna spesso sul patto di stabilità, di cui non si sentono mai parlare i politici. È così cruciale la questione?
“Il patto di stabilità è sempre più stringente. Non una cosa sbagliata in sé, ci mancherebbe. Ma stringe la spesa sempre di più: 5,2 miliardi quest'anno, 4,7 l'anno prossimo, nel 2014 si arriverà a 4,5 miliardi, come ha deciso da poco il governo. Se pensate che la Regione spende circa 2 miliardi per stipendi, pensioni e affini e che circa 800 milioni ci costa il debito, nel 2014 resteranno un miliardo e 700 milioni per fare tutto”.

È una cifra sostenibile?
“Evidentemente no, nel modo più assoluto. Sono 700 milioni meno di oggi, e già oggi abbiamo problemi”.

Sta dicendo che questo quadro può portare al default?
“Ci sono tre elementi convergenti. Il primo è la situazione economica. Non sembra che la Sicilia possa agganciare la ripresa prima della fine del 2014. Il secondo è un patto di stabilità sempre più oppressivo, che non tiene conto delle competenze che ha la Sicilia in forza dell'autonomia. Io non contesto il patto di stabilità, che è una cosa giusta. E' la misura e la modalità aritmetica di applicazione del patto che va contestata. E' un po' come chiedere a tutti di perdere 30 chili, a prescindere dal peso di partenza. A uno di novanta chili può fare bene, ma se ne pesi quaranta ti ammazza. Inoltre, il patto frena gli investimenti, perché non puoi spendere. Il terzo elemento sarà l'entrata in vigore della legge costituzionale che introduce il pareggio di bilancio, proprio nel 2014, che imporrà di rientrare in parte dal debito. Metta insieme tutto questo...”.

...E si arriva al default?
“Senza misure drastiche e virtuose di riduzione della spesa e senza un negoziato col governo nazionale sul patto di stabilità, il default nel 2014 è sicuro. Bisogna lasciare fuori dal patto le spese per investimenti, almeno”.

Lo sa che chi sarà eletto per prima cosa dirà che la colpa è di chi lo ha preceduto. E quindi anche sua.
“Le carte cantano. Nonostante i rifiuti dell'Assemblea regionale abbiamo varato due delibere di spending review. È la prova che abbiamo cominciato a fare qualcosa di importante. Senza l'azione di risanamento, riconosciuta dagli organi dello Stato, non avremmo ne' raggiunto l'intesa sul patto di stabilità, che ha consentito di utilizzare rilevanti spazi finanziari per evitare l'interruzione dei pagamenti, nè riaperto il confronto, dopo oltre quarant'anni di tentativi andati a vuoto, sull'attuazione delle norme finanziarie dello Statuto. Noi abbiamo riportato la spesa per pagamenti ai livelli del 2001”.

Senta, lei dice che bisogna continuare coi tagli alla spesa. Ma ci sono i margini per continuare senza arrivare alla famosa macelleria sociale?
“Non c'è dubbio che ci sono settori da ripensare. Come abbiamo fatto con la formazione professionale, con il cofinanziamento con i fondi europei, che impongono maggiori controlli”.

E gli altri settori quali sono?
“Per esempio le autonomie locali, stimolando la compartecipazione alle spese”.

Ma se gli enti locali sono senza una lira...
“E bisogna puntare sulla lotta all'evasione. Lunedì firmerò col sindaco di Palermo un protocollo per il contrasto all'evasione integrato: Regione, Agenzia delle Entrate e Comune faranno squadra e il 33 per cento del maggiore gettito andrà al Comune”.

Poi? Magari i forestali?
“Sì, così com'è certo non si può continuare. La giunta ha deciso di procedere a un piano di riordino. Per esempio, si potrebbe vendere a prezzi di mercato il legno, che oggi si vende a cinque volte meno il suo prezzo”.

Un'ultima domanda: ma alla luce di quanto lei dice oggi, quelli che parlavano di rischio default forse non erano proprio cassandre, o no?
“No, non è così. Il default sarebbe conseguenza di fatti nuovi. Quella era una macroscopica castroneria che ha scambiato l'indebitamento col deficit. Gli unici che hanno pagato le conseguenze di quelle affermazioni sono gli imprenditori, ai quali, a seguito di quel clima mediatico, le grandi banche non hanno più scontato le fatture della Regione. Paradossalmente gli iscritti di Confindustria pagano le boutade dei loro vertici”.

19 Ottobre 2012



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